Difformità tra contratto d’appalto e permesso di costruire

19 Febbraio 2025

Nel caso in cui l’opera oggetto del contratto di appalto sia totalmente difforme dal relativo titolo edilizio, il contratto di appalto è nullo per illiceità dell’oggetto e per violazione di norme imperative. La nullità del contratto di appalto si verifica, tuttavia, solo nel caso in cui la difformità rispetto al sottostante titolo edilizio sia essenziale. Essendo nullo il contratto di appalto, non è possibile richiedere il risarcimento del danno per inadempimento, soprattutto se la parte che ne fa domanda è anch’essa tenuta al rispetto della normativa edilizia.

Cosa succede nel momento in cui un’opera oggetto di un contratto di appalto è difforme dal relativo titolo abilitativo? E su chi ricade la responsabilità?

Per rispondere a queste domande occorre in primo luogo interrogarsi sul rapporto che intercorre tra il contratto d’appalto ed il titolo abilitativo dell’opera che si intende costruire. Per la giurisprudenza risulta infatti pacifico (così, da ultimo, Cass 11636/2023.) che, in caso il contratto di appalto abbia ad oggetto un’opera difforme rispetto a quella prevista del relativo titolo edilizio, il contratto di appalto sia nullo per illiceità dell’oggetto e violazione di norme imperative – nello specifico quelle in materia urbanistica.

Ma è sempre vero che dal momento in cui ci sia una difformità tra il titolo edilizio ed oggetto del contratto d’appalto, quest’ultimo sia nullo? No, si deve infatti distinguere tra difformità totale e difformità parziale.  Solo nel caso di difformità totale – dal momento che questa viene equiparata all’assenza del titolo abilitativo – si ricade nell’ipotesi di nullità del contratto. Invece, nel caso in cui la difformità sia solo parziale, è possibile procedere con una sanatoria[1].

Per distinguere una difformità totale da quella parziale e viceversa, bisogna fare riferimento alle caratteristiche tipologiche ed alla superficie volumetrica dell’opera rispetto a quella assentita, in quanto queste vengono classificate dalla normativa come varianti essenziali (Art 31 D.P.R. 380/2001). L’Art. 34 del D.P.R. 380/2001 invece contempla quelle ipotesi in cui l’intervento edilizio venga realizzato secondo modalità diverse e si concretizzino solamente in divergenze qualitative e quantitative che non incidono sulle strutture essenziali dell’opera e non suscettibili di utilizzazione autonoma (così Cons. Stato 5423/22 e T.A.R. Sicilia Catania 932/2023). La diversa gravità delle due fattispecie è rispecchiata sul piano sanzionatorio. Nel caso di variazioni non essenziali lo stesso Art 34 prevede, infatti, la sanzione pecuniaria[2]  in deroga alla più gravosa demolizione, che costituisce la regola in materia di illeciti edilizi (così T.A.R. Lombardia Milano 123/2024).  La giurisprudenza specifica, inoltre, che la valutazione relativa alla difformità di un’opera rispetto al titolo abilitativo debba avere natura complessiva e non sia ammissibile qualificare le singole violazioni come parziali (così Cons. Stato 4545/2014). Altro discorso è invece quello presentato dall’Art 34 comma 2 bis D.P.R. 380/2001, il quale regola le c.d. “tolleranze di cantiere”[3], ossia variazioni nell’opera che non possono essere considerate vere e proprie difformità in virtù della loro esiguità. Tra queste si potranno ad esempio menzionare gli angoli non perfettamente in squadra.

Per quanto attiene al profilo delle responsabilità, va distinto il piano amministrativo da quello civilistico. Sul piano prettamente urbanistico/amministrativo, ex Art. 29 c.1 D.P.R. 380/2001 l’obbligo giuridico di rispetto della normativa incorre in capo al costruttore[4], oltre che su chi è titolare del titolo ed al committente. Questo aspetto ha però ovvie ripercussioni sul piano civilistico delle responsabilità. Infatti, una domanda di risarcimento del danno per inesatto adempimento non può ritenersi fondata, dal momento che la committenza è corresponsabile della violazione normativa. Occorre però richiamare quanto detto in precedenza, ossia che un contratto di appalto che abbia ad oggetto la costruzione di non opera non conforme al relativo titolo edilizio è nullo per violazione di norme imperative ed in quanto nullo non produce effetti, nemmeno tra le parti. Risulta ovvio a questo punto che la nullità del contratto elida ab origine un possibile risarcimento per inesatto adempimento della prestazione contrattuale, ancor di più quando la causa di detta nullità sia addebitabile anche o solo alla committente. Ed anzi, la diligenza impone al costruttore di non iniziare/proseguire con l’esecuzione delle prestazioni contrattuali in assenza di titolo edilizio conforme, potendo incorrere altrimenti in sanzioni amministrative o penali. La cassazione in queste ipotesi ha, infatti,  ritenuto giustificato l’abbandono del cantiere (così Cass 11636/2023).


[1]  Quindi, attesa la tutela di un interesse generale sotteso alla previsione di sanzioni di nullità, detta comminatoria riguarda i casi di immobili costruiti in assenza di concessione, ed anche quelli in totale difformità da essa (come è reso palese anche dal fatto che la L. n. 47 del 1985 accomuna, anche sotto il profilo delle sanzioni amministrative e penali ex artt. 7 e 20 della Legge) l’uno e l’altra tipologia di opere abusive. (Cass. 2187/2011)

[2] “In materia di costruzioni edilizie abusive, l’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 che prevede la sostituzione della sanzione demolitoria con una sanzione pecuniaria, è applicabile solo agli abusi meno gravi riferibili all’ipotesi della parziale difformità dal titolo abilitativo, in ragione del minor pregiudizio causato all’interesse urbanistico, ovvero quando vi sia l’annullamento del permesso di costruire, in ragione della tutela dell’affidamento riposto dal privato circa la legittimità del titolo edilizio a suo tempo rilasci”  (Cons. Stato 760/2024)

[3] L’art. 34 bis del D.P.R. n. 380/2001, che stabilisce che il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo, deve essere interpretato nel senso di riferire la cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure programmate soltanto alle singole unità abitative e, dunque, a ciascun appartamento e non all’intero edificio nel sul complesso.” (così da ultimo, T.A.R. Lazio 4413/2021)

[4] “incombendo anche al costruttore, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 6, l’obbligo giuridico del rispetto della normativa sulle concessioni” (Cass. 4015/2007)

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