Che conseguenze hanno attualmente gli usi civici sulla proprietà privata?

24 Febbraio 2025

La Corte di cassazione a sezioni unite con la sentenza 12570 del 2023 in tema di usi civici ha chiarito una questione fondamentale, ossia quella relativa alla validità o meno di atti dispositivi in mancanza di specifica procedura di sdemanializzazione da parte del commissario per la liquidazione degli usi civici. 

Nel corso degli ultimi mesi, il tema degli usi civici ha conosciuto un’inaspettata vitalità nelle corti italiane.  Di particolare interesse a riguardo risulta la sentenza 12570 del 2023 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, la quale non solo analizza il regime giuridico degli usi civici, ma svolge anche un’interessante introduzione storica dell’istituto[1].

Prima di entrare nel merito della vicenda, pare opportuno illustrare brevemente cosa sia un uso civico e come mai sia oggetto di dibattito da parte delle principali corti italiane.

Gli usi civici sono un istituto che trae le sue origini dal Medioevo: i terreni sono di proprietà di un’entità parastatale, che destina il loro uso a specifici bisogni della collettività che la abita. Quindi ab origine l’istituto era destinato al soddisfacimento di primarie necessità di sussistenza. L’attuale configurazione dell’istituto vede il comune quale esponente della collettività titolare di uso civico, in virtù della sua natura di ente locale di prossimità, sottolineando così il persistente legame tra cives e locus.

Che conseguenze hanno attualmente gli usi civici sulla proprietà privata?

A fronte del mutare degli assetti sociali risulta difficilmente argomentabile la sua attuale rilevanza in relazione alla necessità di sopravvivenza della comunità a cui esso è destinato. Oggi, come esplicitato tanto dalla Corte costituzionale nella sentenza 115 del 2023[2] quanto dalla Cassazione, gli usi civici non sono più legati a quei bisogni indispensabili per la collettività alla quale erano destinati, quanto piuttosto alla tutela dell’ambiente e del territorio. Quest’ultimo è un principio che, negli ultimi decenni ha assunto sempre più rilevanza, fino ad essere annoverato trai i cardini dell’ordinamento interno odierno[3].

L’attuale regime giuridico dell’istituto prevede due categorie di usi civici: quelli in re propria e quelli in re aliena. Questi ultimi sono quelli che gravano su fondo altrui – da intendersi come appartenenti a privati- mentre quelli in re propria sono quelli che vedono la destinazione d’uso combaciare con la proprietà, ossia il diritto d’uso in questione è posto in capo alla stessa collettività che ne è anche proprietaria.

Prendendo in esame la regolamentazione attuale dell’istituto, ci si accorgerà che, nonostante il quadro normativo di contorno sia cambiato nel corso degli anni, la legge di riferimento rimane la n. 1766 del 1927. Ai nostri fini risulta particolarmente rilevante il regime di sdemanializzazione, indicato all’art 12 di tale legge. Infatti, un bene gravato da uso civico, per poter essere efficacemente alienato, deve essere oggetto di un provvedimento di sdemanializzazione espresso, come chiarisce la Corte di cassazione nella già citata sentenza 12570: l’art 12 della legge 1766 del 1927, infatti, non ammette equipollenti. Ciò vale soprattutto in relazione all’autorità competente ad emanare il provvedimento, ossia il Commissario per la liquidazione degli usi civici[4]. Sono nulli, di conseguenza, tutti gli atti emanati da autorità differenti, quale invece è il comune. Vi è, quindi, uno scollamento tra la titolarità del diritto d’uso e la sua disponibilità dal punto di vista giuridico, con particolare riferimento alla possibilità di alienazione del bene.

La Corte osserva inoltre, come la normativa successiva non sembri contrastare quest’orientamento[5]: inalienabilità, divieto di usucapione e perpetua destinazione agro-silvo-pastorale rimangono termini utilizzati all’interno della normativa quando si parla di usi civici; vengono menzionati a tal proposito il codice dei beni culturali (d. lgs. n. 42/2004) e la l. n.168/2017 in materia di domini collettivi[6].

Lo stringente regime giuridico del quale sono oggetto gli usi civici costituisce pertanto un problema molto attuale, soprattutto a fronte del fatto che ¼ del territorio italiano risulta attualmente gravato da tale istituto. In particolare, risulta necessario richiamare l’attenzione sulla circostanza che, nel momento in cui si acquista un terreno, è possibile correre il rischio che illo tempore non sia stata seguita la procedura delineata dall’ormai noto art 12 della legge 1766 del 1927. Da ciò deriverebbero non solo la persistenza dell’aggravio importato dall’uso civico, ma anche l’appartenenza del terreno al demanio civico, trattandosi di uso civico in re propria, con tutte le conseguenze che da ciò derivano. In campo giudiziale, manca, inoltre, qualsiasi ponderazione degli interessi privati in campo[7].

In particolare, la presenza di usi civici comporta limitazioni alla proprietà privata. Ad esempio, il proprietario non potrà vendere o modificare l’uso del terreno gravato  senza rispettare le prerogative della collettività che esercita i diritti sull’area. Inoltre, per le aziende o gli investitori interessati a terreni agricoli o forestali, gli usi civici possono ridurre il potenziale di sfruttamento del suolo, specialmente se limitano la possibilità di realizzare costruzioni o altri tipi di attività economiche. Gli investitori potrebbero affrontare lunghe procedure burocratiche per estinguere gli usi civici. Inoltre, potrebbero esserci controversie legali con le comunità locali, che possono avere impatti sulle tempistiche e i costi di un progetto.  In alcune situazioni, la presenza di usi civici può ostacolare la riqualificazione di aree urbane o periferiche, influenzando negativamente le opportunità di investimento, anche a lungo termine.

D’altra parte, in alcuni casi, gli usi civici possono rappresentare un’opportunità per gli investitori che vogliono avviare progetti di sostenibilità ambientale, poiché possono essere legati a territori a rischio di degrado, ma che offrono potenzialità di recupero ecologico o turistico.

Di conseguenza, nel momento in cui si intende acquistare un bene, risulterà sempre opportuno sincerarsi preliminarmente dell’eventualità che questo risulti gravato da un uso civico e scongiurare così una possibile perdita economica, soprattutto nel caso di investitori esteri, magari non familiari con la normativa italiana. E questo sul lungo periodo e non, potrebbe essere un ulteriore disincentivo -oltre alla recente scossa in campo urbanistico/edilizio-nonché ripercuotersi negativamente sulla crescita economica del settore immobiliare del paese. Per questo motivo è essenziale un’ottima conoscenza del panorama normativo ed un continuo monitoraggio dello stesso, senza i quali non è possibile pianificare e ottimizzare il ritorno sugli investimenti.


[1] Nell’ultimo anno si sono pronunciati anche Corte costituzionale e Consiglio di Stato (in particolare Corte Cost. 115 e 119 del 2023 e Cons. Stato 2492 del 2024). Confermando di fatto l’impostazione delle sezioni unite anche se da prospettive differenti.

[2] “…..il legislatore ha assegnato al citato vincolo la funzione di preservare ove e per quanto possibile, anche rispetto ai terreni liberati dagli usi civici, quei profili del paesaggio che in precedenza erano garantiti dalla presenza dei medesimi usi civici e del demanio civico.”

[3] In tal senso, si pensi alle recenti modifiche agli artt. 9 e 41 della Costituzione.

[4] Cfr punto 8 Cass., sez. un.  12570⁄2023.

[5] Cfr. punto 7 Cass., sez. un. 12570⁄2023.

[6] La Corte costituzionale ha successivamente dichiarato l’incostituzionalità di tale legge per quanto riguarda il regime di inalienabilità dei bene gravati da uso civico in re aliena, non rilevanti in questa sede Cfr. Corte Cost. 119 del 2023.

[7] La cassazione citando un precedente della stessa corte afferma che: “la comparazione tra i contrapposti interessi oggetto di tutela, al fine di stabilire la prevalenza degli uni rispetto agli altri, è compito del legislatore…. Laddove, invece, il legislatore ha voluto affermare l’estinzione dei diritti di uso civico lo ha fatto espressamente”. Cfr. punto 8 Cass., sez. un. 12570⁄2023.

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